Questo è un estratto di un “progetto” a cui sto lavorando che, a mio avviso, pur parlando di un morbo totalmente differente e ben più antico, descrive piuttosto bene l’atmosfera di timore che il mondo sta vivendo in questi ultimi mesi. 

Enjoy! (Si fa per dire)

Lamenti e pianti disperati si levavano alti verso il cielo, insieme al susseguirsi di assordanti ed incessanti preghiere, a tratti appena mormorate a denti stretti, a tratti quasi urlate, come se un tono di voce più alto potesse essere più efficace; come se qualcuno, prima o poi, potesse prestare loro attenzione, sporcandosi le vesti per scendere in mezzo a quella melma disgustosa di esseri umani, destinati alla dannazione terrena e celeste. Pile accatastate di oggetti bruciavano notte e giorno incessantemente, scongiurando il propagarsi del contagio. Tutti urlavano all’untore e nessuno si fidava più neanche del proprio fratello, mentre in strada i pochi ancora in grado di farlo camminavano a testa bassa evitando i corpi che erano stati gettati fuori dalle mura domestiche per paura, alcuni dei quali ancora agonizzanti, erano intenti ad esalare gli ultimi respiri; come se liberandosi del malato, ci si potesse liberare con altrettanta facilità della malattia. Uomini deformi, privi di arti, piangevano agli angoli delle strade, reggendo tra le braccia i corpi dei figli defunti, mentre le donne, coprendosi il volto con stoffe colorate, si facevano largo tra gli sguardi supplichevoli dei mendicanti. L’apparente insormontabile muro che era solito dividere plebe e nobiltà era crollato. Era difficile capire chi fosse chi. Tutti indossavano vesti logore, alcune delle quali rubate a corpi ancora caldi. Su ogni porta capeggiava una grossa “X” rossa, che doveva essere stata utilizzata all’inizio nel tentativo di circoscrivere il contagio, ma che ormai era praticamente inutile, perché non era rimasto angolo, strada, casa, che la malattia non fosse stata in grado di raggiungere. Morte, con il suo lungo mantello nero, appariva stanca con la falce in meno mentre insistentemente la brandiva sul capo degli abitanti del villaggio, ma nemmeno lei poteva opporsi ad un potere tanto grande.

Era arrivata di notte, di soppiatto, inaspettata.

Si era nascosta inizialmente tra le lenzuola degli amanti, nel boccale pieno di birra del famoso ubriacone della locanda, tra le pieghe delle vesti della lavandaia. E, quando tutti erano ignari dell’imminente pericolo, affaccendati nei loro impegni quotidiani, aveva, infine, stretto la morsa, attorno al collo del lebbroso, a quello dell’usuraio, a quello del prete, senza fare distinzione alcuna, né di sesso, né di età, né di religione.

Era lei.

La peste.

Sarah

Ho conseguito la laurea in "Design di Interni' presso il Politecnico di Milano; esperienza che mi ha consentito di combinare creatività e progettazione attraverso la realizzazione di spazi intangibili, padiglioni e temporary store. Successivamente, ho deciso di dare un’impronta più manageriale al mio percorso accademico attraverso un master in “Strategic management for global business”, a cui ha fatto seguito un’offerta lavorativa a Praga, dove attualmente mi trovo, lavorando come Project manager junior per una multinazionale. Nonostante il mio percorso sia cambiato nel corso di questi anni, l’arte e il design, nelle loro varie sfumature e sfaccettature, continuano a suscitare in me sempre un grande fascino. Nonostante tutto, rimango dell’idea che management e creatività possano essere facce di quella stessa medaglia, chiamata "innovazione".