L’urlo (Munch)

“C’è qualcuno che sta sempre peggio di noi. Una volta un uomo si lamentava sempre di non avere scarpe, finché un giorno ne incontrò un altro con i piedi mozzi.”

Lamenti.

Sempre, solo e comunque lamenti.

Sembrano essere l’unica cosa che riusciamo a pronunciare.

Ci lamentiamo di come siamo, dei soldi nel nostro conto in banca, del perché non abbiamo questo o quello e dimentichiamo che siamo noi a non fare niente per migliorare e di quanto dovremmo essere grati per quanto già in nostro possesso.

Perché non sono più alta? Perché non sono più magra? Io me lo meritavo il metabolismo veloce però.

Perché non ho gli occhi azzurri? Però ci vedo.

Perché non ho i capelli lunghi e biondi? Però non devo indossare delle parrucche.

Perché non ho le gambe snelle come quella lì? Però cammino.

Sarei potuta nascere ricca in una grande metropoli, invece no. Però sono nata dall’amore di due persone in un paese senza guerre, posso andare a scuola, posso tornare a casa con la consapevolezza che troverò qualcosa di caldo e buono nel piatto e mia mamma pronta a darmi il bacio della buonanotte.

Sono nata in un corpo sano, non fatto per sfilare su una passerella, ma per correre, ridere, pensare, mangiare, guardare.

Riesco ad annusare il profumo dei fiori, a sentire la musica del mio gruppo preferito.

Non ho bisogno di nessuno che mi descriva i colori del tramonto perché li vedo benissimo da sola.

Quando esco mi lamento perché non posso andare sempre a mangiare al ristorante, ma solo al fast food, perché la paghetta non mi basta per fare altro. E tutto ciò mi rende furiosa e penso di meritare di più.

Però, non devo correre, temendo il foro di un proiettile.

Se scegliessi di amare una persona del mio stesso sesso, non importerebbe a nessuno, e so già che l’amore che i miei genitori provano per me non cambierebbe. Non rischio la galera per via del mio orientamento sessuale, né tantomeno la morte.

Mi lamento perché devo svegliarmi alle sette e mezza per andare a scuola, mentre mia mamma è già in piedi da un’ora per sistemarsi e preparare la colazione. Non devo farlo all’alba per andare a svolgere un lavoro degradante, rischiando di non rivedere più la mia famiglia.

Mi lamento perché ho la tosse, la febbre, i dolori del ciclo. Non devo ricordarmi di portare elle pillole sempre con me, né devo andare ogni mese in ospedale, aspettando con ansia solo il momento giusto in cui calerà il sipario.

Mi lamento perché ogni giorno da qualche parte nel mondo c’è qualcuno che può mangiare caviale, può studiare nella più importante università del mondo ed ha servitù ed autista a disposizione. Questo qualcuno può entrare nel negozio che vuole e comprarsi tutto, persino il negozio. Raggiunta la maggiore età, i genitori gli regaleranno la Ferrari che desidera tanto e quando si annoia gioca con il suo cellulare di ultima generazione.

Ogni giorno IO posso fare cinque pasti, che mi prepara mia madre alzandosi prima e andando a letto dopo. Quando piove è lei ad accompagnarmi a scuola, che non è tanto vicino perché ho potuto scegliere io cosa studiare. Se, invece, c’è il sole vado in motorino, quello che mi hanno regalato per i miei quattordici anni, un poco rotto, ma tanto tra poco prenderò la patente e mi hanno già promesso che riceverò una macchina di seconda mano da dividere con mia sorella. Ogni giorno mia mamma dopo averci preparato la colazione, averci svegliato, aver lavato e steso i miei vestiti, va a lavoro, così può portarmi per i negozi e comprarmi dei vestiti, “Made in China”, ma nuovi. Per il mio compleanno mi ha regalato il cellulare di ultima generazione che volevo, e che sta pagando a rate mensilmente; ogni mese mi dona un’ora del suo lavoro senza lamentarsi. Ed io mi lamento.

Da qualche altra parte ogni giorno un ragazzo si sveglia sperando di essere adottato.

Un uomo si sveglia sperando di poter fare almeno un pasto oggi.

Un ragazzo si sveglia, mette un paio di pantaloni strappati, delle scarpe consunte, una maglietta scolorita, beve un bicchiere di latte, saluta sua mamma e suo papà, reso disabile da una mina nascosta in un campo di grano, e va a lavoro in bici, nonostante la ruota dietro sia da riparare.

Un bambino si sveglia con i raggi del sole che entrano dalla finestra, apre gli occhi e vede la sua stanza piena di giochi, comincia ad urlare “Mamma, mamma!”, e una donna subito arriva con un vassoio pieno di cibo, si siede accanto a lui nel letto e lo aiuta ad alzarsi spostando un poco le lenzuola di lino. Oggi vorrebbe andare a fare una passeggiata al parco, oppure al cinema, o prendere un gelato con gli amici o andare in bici, o guidare il motorino nuovo di suo fratello. Tutte cose che vorrebbe fare ma che non farà, perché non può, perché è paralizzato dal bacino in giù. E nonostante tutti i medici visti, tutti i posti visitati per una cura, i soldi non possono comprare tutto.

Non possono comprare molte cose.

E io che sto bene mi lamento.

Sarah

Ho conseguito la laurea in "Design di Interni' presso il Politecnico di Milano; esperienza che mi ha consentito di combinare creatività e progettazione attraverso la realizzazione di spazi intangibili, padiglioni e temporary store. Successivamente, ho deciso di dare un’impronta più manageriale al mio percorso accademico attraverso un master in “Strategic management for global business”, a cui ha fatto seguito un’offerta lavorativa a Praga, dove attualmente mi trovo, lavorando come Project manager junior per una multinazionale. Nonostante il mio percorso sia cambiato nel corso di questi anni, l’arte e il design, nelle loro varie sfumature e sfaccettature, continuano a suscitare in me sempre un grande fascino. Nonostante tutto, rimango dell’idea che management e creatività possano essere facce di quella stessa medaglia, chiamata "innovazione".