
“Nasciamo, cresciamo e viviamo con la convinzione di appartenere a qualcuno o a qualcosa. Ci insegnano che l’amore è la cosa più importante, a volte l’unica. Ci insegnano che è importante credere in una forza superiore, perché è difficile accettare che il mondo finisca nel momento stesso in cui noi chiudiamo gli occhi. Ci convincono che facciamo parte di un esperimento più grande, che è impossibile capire. Nasciamo, cresciamo e viviamo da illusi” si fermò a riprendere fiato, poi continuò: “Ma la verità è che l’unico modo per essere felici a questo mondo è decidere spontaneamente di appartenersi e di amarsi. La vita è troppo breve per accusarsi di colpe che non ci appartengono, troppo breve e crudele per credere in un burattinaio che muove i fili del nostro destino dall’alto, implacabile. Ogni scelta che facciamo, ogni decisione che prendiamo dipende solo ed esclusivamente da noi. E indipendentemente da quale sarà il risultato finale, la regola è quella di non essere apatici e decidere spontaneamente di appartenere a questa vita, di amare e amarsi, di vivere e non sopravvivere”.
Il silenzio scese nella stanza, fino a quando il giovane, presosi di coraggio, avanzò una domanda: “Ed è così che ha vissuto lei?”
“E’ così che avrei voluto vivere ed è così che ho vissuto nei miei sogni. La verità, mio caro, è che ho deciso poco della mia vita. Ho lasciato che le cose prendessero il giusto ritmo e ho accettato il modo in cui poi si sono evolute. E quando ho avuto l’opportunità di poter cambiare tutto, quando finalmente ho avuto l’occasione per stravolgere la mia monotona esistenza, non l’ho fatto”.
“Come mai?”
“Per paura. Paura che fosse la cosa sbagliata da fare, paura di ricominciare, paura di osare. E così ho deciso di accettare e appartenere a questa vita che mi è stata assegnata, come se essa fosse un vestito stretto che mi hanno costretta ad indossare. Ho accettato questo lavoro, il matrimonio, i miei figli, che pur amo con tutta me stessa e che sono forse l’unica cosa buona che ho fatto. Ho accettato l’ingrigire dei miei capelli, la gonna stretta dopo una certa età, le rughe sul mio volto. Ho accettato la mediocrità, continuando a ripetermi prima o poi. E, quando finalmente mi ero decisa a salire sul treno che mi poteva portare lontano, tutti i vagoni erano chiusi. Non faccia come me, non sprechi il suo tempo. Lei ne ha ancora molto davanti. Decida chi vuole essere e cosa vuole essere. Decida di appartenere. Cambi lei il mondo o il mondo deciderà di cambiare lei”
“Eppure a me lei sembra tutto fuorché codarda. Insomma, guardi dove è e cosa sta facendo”
La donna allungò le estremità della bocca verso l’alto in una smorfia simile ad un sorriso, leggero e sofferente: “Mio caro, questo è il mio primo atto di coraggio in ottant’anni”.
“Tempo concluso!” esclamò l’uomo che entrò nella stanza: “Mi spiace interrompervi, ma ci sono altre persone che vorrebbero parlare con lei”. La donna annuì e, tendendo la mano verso il giovane, lo salutò amichevolmente. Il ragazzo raccolse il suo taccuino e fece per andarsene, ma prima di varcare la porta venne richiamato indietro: “Volevo chiederle un’ultima cosa. Mi renda bella. Nella mia vita lui me lo diceva sempre. E se è possibile aggiunga questo alla fine del suo articolo”. Dalla tasca uscì un bigliettino tutto stropicciato e glielo porse: “Lo legga appena esce da qui”.
Il ragazzo lasciò la stanza, ancora intontito dalle parole della donna. E, mentre varcava i corridoi, pensò a ciò che quell’anziana signora gli aveva detto ed al racconto della sua esistenza. Pensò a quanto fosse incredibile che una vita, apparentemente straordinaria, non fosse stata così felice come da lontano appariva e che un atto, apparentemente tanto meschino all’esterno, fosse stato, invece, una vera e propria prova di coraggio. Uscito dall’edificio grigio, aprì il bigliettino. Sorridendo, lo rimise in tasca. Si accese una sigaretta e si fermò a pensare, mentre la pioggia cadeva sopra la città, fitta e insistente.
Osservò coloro che correvano per non bagnarsi, chi si affrettava per entrare e chi per salire in macchina. Si chiese cosa pensassero, come vivessero, se erano contenti della loro vita o se semplicemente credevano di esserlo. Riuscì a darsi da solo una risposta, perché, in mezzo a quel via vai generale, gli unici realmente felici sembravano essere i bambini, che, scorrazzando di qua e di là, gioivano di piccole cose, del viso bagnato, delle pozzanghere, all’interno di cui saltavano a piedi nudi, mentre i genitori stremati, stanchi e oppressi da una mediocre esistenza li inseguivano. Vide come le giovani coppie, i neo genitori fossero gli unici a sembrare emozionati e vivi, resi tali da un sentimento ed un sentimento completamente nuovo, che avrebbe ben presto lasciato spazio ad una infelice quotidianità ed una piatta esistenza. Questo pensava o, meglio, questo avrebbe pensato se la donna non gli avesse lasciato quel bigliettino. Tornato a casa cominciò a lavorare all’articolo, contento di avere uno scopo tanto importante e quasi oppresso da esso.
La mattina dopo un anziano signore sulla novantina si apprestava ad iniziare la sua giornata. Andò nel solito bar e ordinò la solita colazione. Finito il caffè e il cornetto, si recò in edicola e acquistò il solito giornale. Un articolo, però, catturò la sua attenzione e si affrettò a tornare a casa per leggerlo serenamente, lontano da occhi indiscreti. In prima pagina appariva la scritta in grassetto: “MORTA ALL’ETA’ DI 85 ANNI LA RICERCATRICE ANNA ENO ARRESASI AL SUICIDIO ASSISTITO DOPO MESI DI SOFFERENZA”. L’uomo lesse l’articolo con mani tremanti e occhi lucidi. Giunto alle ultime righe, scoppiò a piangere. Erano quelle che il ragazzo aveva letto nel bigliettino: Un giorno un giovane ragazzo mi disse “Bisogna decidere a chi appartenere”, vorrei potergli dire che in cuor mio io gli sono sempre appartenuta, ma ho avuto paura, spero possa lui perdonarmi e inseguire il nostro sogno.
L’uomo prese il telefono e digitò un numero: “Buongiorno”
“Buongiorno, in cosa posso esserle utile?”
“Volevo prenotare un biglietto aereo per il Perù”
“Per quando?”
“Il prima possibile. Non ho molto tempo.”
“Ho un posto disponibile per oggi alle 19”
“Perfetto, prenoti pure”.
Le dettò il numero della carta di credito e riattaccò. Prese la valigia dall’armadio e vi posizionò accuratamente gli unici vestiti che aveva. Poi scrisse una lettera e la lasciò sul comodino. Sull’uscio si sentì stanco improvvisamente, un malore improvviso lo colse e, gemendo, si accasciò.
Antonio entrò nella casa del nonno, sentendo ancora nell’aria il suo odore. Non poteva credere fosse morto così all’improvviso. Si accese una sigaretta, vagando per la stanza. Una lettera sul comodino lo distrasse, sopra una grafia tremolante recitava: “Per Antonio”. La aprì. Essa aveva ricopiata un’unica frase: “Bisogna decidere a chi appartenere”. Il ragazzo sorrise, un sorriso amaro ma compiaciuto. Era suo nonno l’uomo di cui Anna gli aveva parlato. Così vicini eppure così lontani. Era soddisfatto, malgrado l’amarezza che provava. Se solo lo avesse saputo prima, avrebbe fatto ben altro che scrivere un semplice articolo. Inspirò profondamente e, facendo uscire il fumo, si ripetette a denti stretti, come fosse un monito da non dimenticare: “Bisogna decidere a chi appartenere”.
Ho deciso che, prima di lavorare su nuovi progetti, pubblicherò tutto ciò che ho in archivio, che non ho mai fatto leggere a nessuno, o quasi. Il motivo? Timidezza, o forse, la malata convinzione di non avere nulla da raccontare. Ora, invece, penso che tutti noi abbiamo qualcosa da dire; il problema potrebbe essere la mancanza di interesse da parte degli altri. E allora perchè non raccontare anche solo per noi stessi?