Parlare di nostalgia non è mai facile.
E io sarei ipocrita a farlo a neanche una settimana dal mio ritorno a Praga, dopo quasi un anno passato in Sicilia. La verità è che spesso si è nostalgici senza sapere il vero motivo per cui lo si è. Non ho mai provato malinconia per Praga, anzi sono stata costantemente assalita da un senso di perenne ansia, dovuto alla consapevolezza che il momento del ritorno si avvicinava sempre di più. Tuttavia, i momenti di pace che Praga mi regala, dandomi la possibilità di tornare a scrivere, rimangono uno dei doni più grandi di questa magica città.
Se Praga è calma, Catania è frenesia.
Se Praga è silenzio, Catania è confusione.
Nonostante zone rosse, coprifuochi e restrizioni, Catania, infatti, ha saputo regalarmi dei mesi di gioia, come mai aveva fatto durante la mai adolescenza e che Milano non è mai riuscita a donarmi.
Casa è casa.
C’è poco da fare o da dire.
Se poi si ha la fortuna di nascere e crescere in una città che offre tanto sia da un punto di vista paesaggistico, sia per quanto riguarda la movida notturna, diciamo che il gioco è fatto.
Il gioco è fatto fino a quando non compi 25 anni.
Poi ti rendi conto, tuo malgrado, che per continuare a “campare”, devi lavorare e, a meno che tu non sia in grado di vivere di rendita, o tu possa vantare natali illustri, Catania offre ben poco.
Forse alla Sarah diciottenne, appena diplomata, direi di prendere un anno sabatico per riflettere veramente sul proprio futuro. Magari quei mesi “off” sarebbero serviti a farle capire che si può essere artista, anche senza dover necessariamente conseguire una laurea in campo artistico.
A farle capire che “abitare” a Milano, non è come “visitare” a Milano.
E penso che quest’ultima frase sintetizzi più o meno la differenza tra essere uno spensierato turista ed essere un consapevole cittadino.
Come Roma: bella, ma non ci vivrei.
C’è da dire, in fondo, che frequentare l’università a Catania o in qualsiasi altra città, avrebbe semplicemente prolungato il momento dell’addio – o si spera, dell’arrivederci.
Fortunatamente, nel bene e nel male, questa pandemia ha fatto emergere la consapevolezza che il lavoro da remoto è il presente e il futuro.
Che poi, dico io, se il tuo lavoro viene svolto esclusivamente tramite pc, o lo fai in ufficio, o lo fai in India in groppa ad un elefante, o lo fai in Burundi, che cosa dovrebbe cambiare?
… Mistero della fede nel capitalismo…
Se dovessi riuscire a trovare un lavoro del genere, tornerei, senza sé e senza ma.
Sogno di “fatturare” su un terrazzo vista mare, sorseggiando del buon Grillo, mentre al lento passare degli ultimi minuti che decretano la fine della mia giornata lavorativa, mi godo gli ultimi raggi del sole che scompare tra le onde.
Al momento mi mancano solo due cose affinché ciò si avveri: un lavoro da remoto e una terrazza sul mare. In compenso dalla mia si può vedere l’Etna, che nell’ultimo anno ci ha regalato diversi spettacoli notturni con le sue colate.
Per tanti anni ho sottovalutato quello, che la mia terra natia regala: dal buon cibo (non vedo l’ora di tornare a mangiare le mie amate polpette di cavallo), al buon tempo (durata massima stimata di “malu tempu”: due ore), alle persone e alla loro mentalità, che sa essere ospitale tanto quanto bigotta. I siciliani sono lenti, fanno le cose con calma, ma, alla fine, se devi semplicemente passeggiare per goderti il frastuono di una città in continuo movimento: che minchia corri