Courbet – The Sleepers

Nella cittadina di Sade il tempo scorreva con la sua solita parsimoniosa velocità. Alle cinque del mattino le prime macchine percorrevano i viali alberati, popolati dal cinguettio delle rondini. Le luci della strada, ancora accese, lasciavano lentamente spazio ad una timida alba. Alle sei in punto le donne si alzavano, scendevano in cucina e preparavano la colazione, per poi correre a svegliare dolcemente i figli. Tutto era ridicolosamente normale.

Alle sei e mezza si svegliò anche la famiglia Tempt. Riuniti a tavola cominciarono la giornata insieme, chiacchierando poco e niente, ancora assonnati. Il primo ad uscire di casa fu il padre. Giacca, cravatta, 24 ore sotto il braccio destro e giornale nella mano sinistra, diede un pudico bacio alla moglie sussurrandole: “Ci vediamo stasera, cara”.

Tavolo sparecchiato, cucina ripulita, figli pettinati, lavati e vestiti davanti la porta, la donna afferrò le chiavi della macchina ed uscì in giardino.

“Mamma, sicura che non vuoi che prendiamo il bus. Passa tra meno di dieci minuti” il figlio maggiore, mentre parlava, indicò la fermata, poco distante dalla porta di casa.

“Tranquillo, Tim. Mi fa piacere accompagnarvi e comunque la scuola è di strada per la parrocchia e ho promesso a Don Andrea che sarei passata a dare una mano con gli addobbi per la festa di Santa Rita”.

Il sole ormai era alto nel cielo.

“Ogni scusa è buona per quel prete per mangiare e fare baldoria” . Stavolta a parlare era stato il figlio minore.

La donna fermò la macchina e si girò verso di lui, con una smorfia inorridita sul volto: “Elia, ma come ti permetti? Fai in modo che nessuno ti senta quando dici queste fesserie. Non dovresti nemmeno pensarle. Don Andrea ha fatto tanto per la nostra comunità ed è sempre pronto ad aiutare i più bisognosi anche a discapito della propria salute”. La macchina riprese tranquillamente il suo tragitto, come se non fosse accaduto nulla, per poi frenare dopo poco più di duecento metri.

“Ora scendete o farete tardi a lezione”.

Tim ed Elia si allontanarono, zaini in spalla, accennando un timido saluto con la mano mentre si voltavano verso l’enorme edificio in pietra rosso; l’unico nel raggio di chilometri.

“Rita! Rita!” una donna sulla trentina con un lungo abito grigio che ne avvolgeva l’intera sagoma si avvicinò alla macchina sgambettando.

“Rita, buongiorno. Ho saputo che quest’anno ti occupi tu della festa” un viso precocemente invecchiato, che tentava di nascondere le profonde rughe dietro un mascherone di fondotinta e cipria, si parò davanti al finestrino dell’auto.

“Viola buongiorno. Le notizie volano evidentemente. Hai proprio ragione; infatti, sto andando ora da Don Andrea a sistemare alcune cose”.

A Rita non piaceva quella donna; la trovava subdola e astutamente ignorante, però, sapeva benissimo il posto che occupava nella comunità, essendo la moglie del prefetto, e come fosse rispettata da tutti in città. “Sono sicura che farai un ottimo lavoro. Anzi non vedo l’ora di vedere cosa stai preparando per noi”.

Sorriso di ghiaccio e sguardo da vipera, allungò a papera le labbra macchiate da un rivoltante rossetto viola, stampando un bacio sulla guancia di Rita per poi allontanarsi al suono riecheggiante dei tacchi sulla ghianda del viale. Prendendo un fazzoletto dalla borsa, la donna si ripulì dal rossetto, guardandosi nello specchietto con aria disgustata.

La macchina si rimise sul viale principale e proseguì nel tragitto. L’aria cominciava a riscaldarsi e la strada a popolarsi velocemente. Finalmente la primavera si stava risvegliando dal suo torpore in tutta la sua rigogliosa freschezza, dopo giorni di pioggia e cieli grigi. Rita sperava molto nel bel tempo per la giornata di sabato e domenica, poiché aveva organizzato l’intera funzione all’aperto e in caso di brutto tempo temeva della riuscita stessa della serata.

Nonostante l’apparente insignificante valore del giorno, Rita sapeva benissimo quanto la comunità puntasse sulla quella, sia per motivi religiosi, sia per tradizione; una tradizione che si trascinava da centinaia di anni. Era la prima volta che le veniva affidato un incarico così importante e non era stato nemmeno facile riuscire a battere la miriade di donne casalinghe, che avevano assediato nei mesi precedenti la parrocchia con le loro offerte, i loro pasticci di patate insipidi e i biscotti appena sfornati dalla forma irregolare.

L’effettiva riuscita dell’evento dipendeva proprio da lei. Inoltre, se fosse andato tutto secondo i piani, Rita avrebbe potuto ambire ad essere assunta dal parroco a scopi organizzativi e diplomatici, dato che era già diverso tempo che Don Andrea cercava un’assistente valida per aiutarsi con alcune questioni burocratiche. La festa era talmente importante che le era stata concessa senza problemi un’intera settimana di ferie a lavoro. Sospettava potesse essere stato qualche sua collega a parlare del suo incarico e la voce doveva essere poi arrivata alle orecchie di Viola, la sua manager che si era dimostrata entusiasta della novità.

Dieci minuti dopo la donna arrivò davanti alla chiesa, edificio dalle linee semplici e forti. Era stata ricostruita insieme a gran parte della cittadina stessa in seguito al terremoto di venticinque anni prima e conservava tratti evidenti, sia della sua antica architettura, che del nuovo stile moderno. Tanto bianca e anonima appariva la facciata, quanto luminoso e teatrale era, invece, l’interno ravvivato dalle enormi vetrate colorate, costruite da un artigiano francese, fatto arrivare specificatamente da Parigi, e dai vari dipinti eseguiti da alcuni abitanti del luogo.

Rita entrò e, facendosi il segno della croce, si accomodò sulla prima panca a destra di fronte l’altare. Poco dopo un uomo sulla cinquantina sbucò da una porticina laterale. Indossava una lunga veste nera che non riusciva, tuttavia, a nascondere l’enorme ventre gonfio che sporgeva da sotto la tunica. Si muoveva a passo lento non per l’età, bensì per la sua enorme mole. Il collarino bianco accentuava il grasso sul collo, rendendolo ancora più ridicolo di quando non apparisse già. Le dita grasse sembravano delle salsicce, costrette da stretti anelli d’oro zecchino, che dovevano arrivare a bloccargli circolazione, considerando il colore violaceo delle falangi.

L’uomo aveva pochi capelli grigi tirati indietro e una folta barba brizzolata, che ne nascondeva solo in parte le guance rosee e paffute. Una lunga catena con una croce di legno al collo, che accentuava e separava due seni grassi e flaccidi.

“Rita, ti stavo aspettando” aveva un’espressione sorniona in faccia e uno sguardo penetrate di chi conosce benissimo i tuoi peccati ed è pronto ad usarli contro di te in caso di necessità.

Sarah

Ho conseguito la laurea in "Design di Interni' presso il Politecnico di Milano; esperienza che mi ha consentito di combinare creatività e progettazione attraverso la realizzazione di spazi intangibili, padiglioni e temporary store. Successivamente, ho deciso di dare un’impronta più manageriale al mio percorso accademico attraverso un master in “Strategic management for global business”, a cui ha fatto seguito un’offerta lavorativa a Praga, dove attualmente mi trovo, lavorando come Project manager junior per una multinazionale. Nonostante il mio percorso sia cambiato nel corso di questi anni, l’arte e il design, nelle loro varie sfumature e sfaccettature, continuano a suscitare in me sempre un grande fascino. Nonostante tutto, rimango dell’idea che management e creatività possano essere facce di quella stessa medaglia, chiamata "innovazione".