CANDY

Alexander Hamilton 
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Lei era lì in mezzo alla pista. Sembrava che il tempo si fosse fermato in quella squallida discoteca da quattro soldi, e che tutti fossero concentrati su quella ragazzina che danzava, muovendo il corpo a ritmo. Senza inibizioni, senza la paura di essere giudicata, si sentiva libera, circondata da un mondo di schiavi. “Underworld” di Born Slippy riempiva il locale, illuminato dal rosso lampeggiare delle luci, che si posavano su corpi sudati e viscidi, intenti a strusciarsi tra di loro. Tutti si muovevano senza alcuna logica, come se seguissero un copione sbagliato, finendo per produrre solo goffi gesti scoordinati.

Tutti, tranne lei.

Lei era superiore a tutto ciò che la circondava e non sentiva il bisogno di seguire o imitare nessuno. Riusciva ad apparire leggera e aggraziata nonostante tutto. Il vestito nero attillato ne risaltava le forme, mentre i capelli viola, arrivando sotto il seno, si poggiavano su di esso e ne seguivano l’ondeggiante movimento. Le mani, che teneva alzate sopra la testa, ogni tanto ricadevano lungo i fianchi, toccandoli lentamente e percorrendoli su e giù. Ogni tanto qualcuno la guardava, ma non aveva il coraggio di avvicinarsi, come se tutti avessero paura di poter rovinare il momento. O forse, più probabilmente, nessuno vi prestava attenzione, tutti immersi nella loro squallida banalità, immersi in quella squallida discoteca da quattro soldi.

Solo Jared si rendeva conto di tutto e ciononostante non osava chiederle di ballare, limitandosi ad osservarla dallo sgabello scomodo del bar e fantasticando su quante possibilità avesse, che fosse lei per prima ad accorgersi di lui e gli si avvicinasse.

Sicuramente non molte.

“Ti porto qualcosa?”.

Il cameriere, venuto a prendere l’ordinazione, era il tipico bonaccione dal fisico imponente; uno di quelli che non oserebbe fare del male nemmeno ad una mosca. Aveva dei ridicoli baffi arancioni e degli occhiali spessi come fondi di bicchiere, mentre l’aspetto ne tradiva le origini irlandesi. Ù

“Un martini bianco con ghiaccio” rispose Jared, scuotendo la testa.

“Un che?!?” esclamò il ragazzo aggrottando le sopracciglia, come se avesse sentito il nome di un cocktail improponibile, abituato probabilmente a servire solo pessime birre di dubbia provenienza.

“Non sei più a Londra” si ripetette, come promemoria, prima di correggersi: “Una birra bionda, media”. Il ragazzo annuì mentre Jared si era già rigirato verso la pista, ma era tutto inutile; più cercava di concentrarsi sugli altri, più veniva distratto da quella ragazza che continuava a danzare sulle rime di “Think about the way” degli Ice MC.

Era come essere tornati negli anni ’90. La polvere a terra e sul bancone, la musica, il modo in cui la gente si muoveva e persino cosa indossava, appartenevano ad una generazione passata.

L’Irlanda non è come l’Inghilterra, le cose arrivano più tardi” pensò e mai cosa gli parve più vera.

“Ecco qua” il cameriere si sporse verso di lui con il boccale colmo di birra, asciugandosi le mani sul grembiule lurido. Jared guardò il listino prezzi e poggiò le tre sterline sul tavolo. La birra non aveva un sapore bruttissimo ed era molto più economica di quella che si trovava nei pub inglesi, ma era più calda del piscio. Jared si bagnò appena le labbra e poi, bloccando la mano del cameriere intento a ritirare la mancia, gli chiese: “Quella ragazza la conosci?”

Si sfilò dalla tasca una banconota da cinque sterline e la poggiò sul tavolo con fare ammiccante. Il cameriere percorse con gli occhi la traiettoria creata dal suo dito teso e sorrise. Ci mise un poco a rispondergli, mantenendo per tutto il tempo la stessa espressione ebete.

“Quindi?” insistette Jared.

Altre cinque sterline sul tavolo.

Il cameriere si intascò i soldi senza fiatare. Era probabilmente più di quello che guadagnava con le mance di un’intera serata in quella squallida discoteca da quattro soldi. Poi poggiò i gomiti sul bancone, sporgendosi verso Jared: “So solo che si fa chiamare Candy e che viene spesso qui a ballare”.

Nel frattempo, la ragazza continuava a muoversi in mezzo alla pista, ignara di essere osservata.

“Lascia stare amico. Fidati, non è roba per me”.

Ma Jared aveva già smesso di ascoltare dopo le prime parole.

Si chiama Candy.

Aveva un’informazione. Aveva un nome.

Sarah

Ho conseguito la laurea in "Design di Interni' presso il Politecnico di Milano; esperienza che mi ha consentito di combinare creatività e progettazione attraverso la realizzazione di spazi intangibili, padiglioni e temporary store. Successivamente, ho deciso di dare un’impronta più manageriale al mio percorso accademico attraverso un master in “Strategic management for global business”, a cui ha fatto seguito un’offerta lavorativa a Praga, dove attualmente mi trovo, lavorando come Project manager junior per una multinazionale. Nonostante il mio percorso sia cambiato nel corso di questi anni, l’arte e il design, nelle loro varie sfumature e sfaccettature, continuano a suscitare in me sempre un grande fascino. Nonostante tutto, rimango dell’idea che management e creatività possano essere facce di quella stessa medaglia, chiamata "innovazione".