Ammetto di essermi presa una lunga pausa, ma da quando mi sono trasferita a Praga, i miei ritmi di vita sono piuttosto cambiati. Chi lo avrebbe mai detto che avrei mai avuto la forza di svegliarmi alle sei del mattino – dall’alto dei miei ventiquattro anni, il cui tempo è ormai scandito da continui “Opplà!”- ed andare in palestra? E, soprattutto, chi lo avrebbe mai detto che dopo più di venti anni passati a cenare, quando al Nord sono già a letto, avrei finito per apprezzare “Netflix e coperte” alle otto di sera? Ormai sono abituata agli “orari della gallina”, così li chiama mia madre. Il cibo qui è molto diverso e probabilmente prima o poi ne scriverò, insieme a tante altre cose che mi hanno sorpreso, positivamente e negativamente. Tuttavia, anche questa volta voglio parlarvi di un’esperienza a strisce verdi, bianche e rosse.
L’ultimo weekend di Gennaio sono tornata a Milano e, avendo preso il biglietto in anticipo di un mese (fortunatamente oserei dire, considerando i prezzi last minute), ho deciso di regalare una cena al mio ragazzo per la sua laurea. D’altronde, non esiste regalo più apprezzato del cibo nè amore più sincero. Dal canto suo, aveva espresso spesso il desiderio di andare in questo ristorante, che, a mio avviso, è una piacevole via di mezzo tra un comune ristorante di pesce e un salasso da Cracco. La sua era una di quelle volontà che tutti abbiamo, ma che, se qualcuno non prende l’iniziativa per noi, probabilmente ci porteremmo fin sul letto di morte, mettendole anche nel testamento per i posteri.
A mio avviso, non è necessario prenotare con largo anticipo anche se io, per sicurezza, avevo comunque chiamato un mese prima. Non è uno di quei posti stellati con prenotazioni chilometriche, che fai prima a diventare chef stellato tu, che a provarne il menù. Abbiamo impiegato circa un’ora o poco più per arrivare a Gallarate da Pavia, ma a guardare l’espressione estasiata del mio ragazzo, ne avrebbe volentieri fatte anche due.
A nuoto.
Nell’oceano Pacifico.
La location, una villa dai toni semi-barocchi, è sicuramente uno dei punti forti, sia esternamente che internamente. Tutto appare curato nei minimi dettagli, dall’ingresso dove ti viene chiesto cortesemente il cappotto, tanto che tu cominci a guardarti intorno stranito – abituato alle solite bettole dove te lo tieni con forza stretto al petto per paura che qualcuno te lo rubi – e a momenti vorresti sfoderare la tua migliore interpretazione di Robert De Niro “Ma dici a me? Ma dici a me? … Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me?”
Un altro punto a favore, che in realtà penso sia tipico dei ristoranti di un certo livello (scusate, ma non sono abituata) è il fatto che ci sono due menù, uno con i prezzi e uno senza. Cosi se state invitando qualcuno a mangiare fuori, potete fare gli splendidi. Anche se, dopo aver speso più di 300 euro di cena, io te lo devo fare notare quanto mi sei costato/a, persino fingendo che lo scontrino sia caduto in terra per sbaglio.
Ooops, che sbadato/a!
Io, personalmente, consiglio di ordinare il menù degustazione da sei portate; vi sazia senza strafare. Suppongo che venga cambiato di tanto in tanto; quindi, probabilmente quello che ho assaggiato io, non corrisponderà a quello che vi sara servito, qualora decideste di andarvi.
Sorry, not sorry.
Il cameriere – che penso abbia un nome più altisonante per questo genere di posti, ma noi, che non apparteniamo all’alta borghesia, continueremo a chiamarlo al limite “garcon”, perchè in francese diventa tutto più elegante – ci ha accompagnati ad un tavolo, troppo grande per due persone e, anche, per le porzioni servite. Ad attenderci, c’erano già dei grissini in un vaso e dei taralli friabili.
(Frana non è che fria – cit)
Abbiamo optato per il menù con accompagnamento di vini, per sentirci per una sera dei very sommerlier, pur essendo cresciuti a San Crispino.
Parlo per me.
Il mio ragazzo, invece, la prima volta che è venuto a casa mia, e ancora non stavamo neanche insieme, ha portato un Amarone, probabilmente sperando che io sarei stata in grado di riconoscerne il valore, mentre al contrario io, che non mi tradisco mai, l’ho trangugiato come fosse acqua minerale del rubinetto, concludendo con un “buono”. Gli dovevo già piacere parecchio, per non aver sussultato ad un mediocre “buono” per una bottiglia del valore superiore ai 30 euro.
E io che mi sento ricca, quando spendo più di 6 euro per un calice di vino.
La prima portata c’è stata servita su un piatto variopinto. Un antipasto di pesce, anche se non ne ricordo esattamente il tipo. Sicuramente molto leggero, dato che non riesco al momento a focalizzarne il sapore.
Ad esso, è seguito un secondo antipasto a base di verza e, a quanto pare, carne, conosciuto come “cassoeula” (ho cercato su internet la parola corretta). Sottolineo l’ “a quanto pare” perché onestamente non ne ho percepito né il sapore né la presenza. A dirla tutta, non l’avevo mai provato prima, quindi, non posso sentenziarne la bontà, mettendola a paragone con altre versioni. Il gusto era decisamente molto forte. Riesco a sentirne i toni amarognoli sulla punta della lingua anche a distanza di settimane. La verza cotta non è una cosa di cui vado pazza, e l’averla accostata all’aceto balsamico non ha giovato molto, anzi…
Tuttavia, non voglio affermare che non sia stata all’altezza delle aspettative. Il mio ragazzo l’ha trovata deliziosa. Ritengo possa essere piu adattata a coloro che sono abituati a dei sapori forti e particolari.
Sempre come antipasto, c’è stato servito in seguito del salmone, cotto su pietra, dentro una teca trasparente da cui, una volta aperta, fuoriusciva un forte odore di legno, gradito contributo alla percezione finale della medesima pietanza. Questa è stata sicuramente la portata che mi è piaciuta di più. Sono un amante del pesce semi-crudo e il modo in cui è stato presentato, dal curioso impiattamento all’uso di pinzette metalliche per poterlo gustare, mi ha piacevolmente colpita.
Il primo, sempre a base di pesce, a paragone è risultato alquanto scialbo. L’assenza di sughi e condimenti vari ha consentito di accentuare la freschezza della pasta, ma ha reso l’esiguo condimento di pesce, appena percettibile.
Ho apprezzato l’idea di spezzare con un secondo di carne, accompagnata da un purè molto leggero e piacevole.
Infine, siamo giunti al momento del dolce.
Quel piatto per cui c’è sempre spazio nel nostro stomaco.
Abbiamo assaggiato un fresco gelato alla nocciola, accompagnato da tiramisu dalla forma quasi cilindrica. Pur non essendo il mio dolce preferito, la dolcezza e la qualità delle materie prime usate mi ha nuovamente stupita. Non aspettatevi il comune tiramisù a base di biscotti secchi e caffè, ma una versione rivisitata, fresca e dolce, composta da strati alternati, che esplodono nella vostra bocca, regalandovi un brivido fresco lungo la schiena.
Abbiamo concluso la cena con i “dolci della casa”; micro pasticcini, presentati su una sorta di vaso in ceramica dai vividi colori siciliani. Il gusto era molto simile a quello dei comuni pasticcini da banco, quindi non ho, a dir la verità, molto d’aggiungere in merito.
Riguardo ai vini che hanno accompagnato ogni singola portata, non mi reputo cosi esperta da poterne parlare singolarmente, ma ho trovato ottima la scelta di alternare secchi, frizzanti e dolci in base alla portata. Eccetto l’ultimo, troppo dolce per il mio palato, simile ad un comune zibibbo, penso siano stati splendidamente abbinati. Consiglio di fare l’accostamento con i vini, perchè, a mio avviso, permettono di esaltare il sapore delle pietanze, imponendovi anche una pausa tra un boccone e l’altro. Il prezzo lievita di circa 50 euro a persona, che più o meno corrispondono 10 euro al calice.
Non tanto dopotutto, se consideriamo le cantine di provenienza.
Per concludere, posso dire che è un’esperienza da fare sia per il cibo – ho dimenticato di menzionare i panini che ci hanno portato durante una pausa tra due portate e l’ottimo olio extra vergine d’oliva che li ha accompagnati (il mio ragazzo, come sempre, si è fatto riconoscere, chiedendo cosa fossero quelle due semplici e comuni pagnotte) – sia per il contesto, dall’attenzione verso il cliente al bagno in marmo nero, dove si trovano delle bustine monouso con tanto di spazzolino e dentifricio, anche se nessuno vorrebbe lavarsi i denti dopo sei euro di caffè.
Il conto, naturalmente, è salato, ma suppongo sempre meno di un comune ristorante stellato. Se non ordinate vini e caffe (piu caro, come già dettp, di una porzione di tiramisù), con 80 euro a testa vi godete un’ottima cena, ricca di sapori nuovi.
Io, magari, sono stata un po’ sfortunata, perchè eccetto l’antipasto di pesce e il dolce, non sono riuscita ad apprezzare la cena fino in fondo; quindi, partite comunque con la certezza che non è detto che ne usciate soddisfatti al 100%.
Il mio ragazzo ha continuato a parlarne anche nei giorni successivi. Non sono sicura se abbia apprezzato di più la location, l’essere servito e riverito, o il cibo dato che, a prescindere dal fatto che fosse un regalo, si è offerto di pagare quantomeno il vino, altrimenti il mio portafoglio avrebbe risentito eccessivamente della grave perdita pecunaria.
Va beh, se insisti.
Per tutte le tasche, e, invece, il menù del pranzo settimanale, con un valore di circa 25 euro. Un’ottima opportunità per provare il menu Vinciguerra ad un prezzo accessibile a tutti